di Matteo Galbiati, Maggio 2010
Oggi essere scultori significa, soprattutto se si è giovani artisti, prestare fede incondizionata ad una vocazione che nel costante esercizio e nel superamento di ogni difficoltà legata a questa pratica – che pure passa attraverso l’impegno di risorse e lo sforzo fisico – si pone comunque al di fuori dalle tendenze attuali o dalle mode artistiche. Fare scultura mantiene, nella via più consueta, un forte legame con la tradizione, ma questo non significa rinunciare obbligatoriamente ad una ricerca, un linguaggio e una poetica – genericamente un interesse – personali ed autonomi. I giovani scultori, che osano dire ed esprimersi con un linguaggio che pare ormai destinato, oggi quando imperversa il video e il multimediale, alle botteghe artigiane, compiono un gesto di perseverante coraggio, il cui rigore e serietà corrispondono alla dedizione – un’affinità elettiva – per questa pratica artistica, e restituiscono un agire che non ammette improvvisazioni.
Alberto Gianfreda è un artista che non teme di dichiarasi apertamente, e senza specificazioni ulteriori, scultore: un giovane scultore quindi il cui talento – negli anni sta consolidando e conseguendo un riscontro e un riconoscimento meritati – non scende a compromessi e mai si improvvisa nell’assecondare la singolarità della circostanza. Gianfreda mostra, con il lavoro fino ad ora condotto, un coerente sviluppo del suo percorso, a riprova del quale la complessa struttura della sua ricerca, benché tradotta nelle forme quasi minimali delle sue opere, diventa lo strumento per sondare e verificare la complessa trama della sua poetica e l’indice di una molteplicità di letture del suo intimo senso. Il credito di questo lavoro si accerta proprio nella riuscita comunicazione del contenuto di ogni singolo esito inteso come emozione poeticamente sentita e vissuta e, infine, vivificata nella materia.
Da sempre impegnato nella rielaborazione di un’opera che non si applica a corpo unico, ma che rimanda il riscontro ad una dialogante alterità di presenze, Alberto Gianfreda ci consegna una scultura che diventa un dichiarato atto costruttivo in cui il suo gesto, calibrato e attento, crea una simbiosi inscindibile tra sostanze, oggetti risultanti ed emozione, idea e atto generante.
Gli agenti prioritari di senso sono un campionario di materiali diversi – legno, metallo, carta, argilla, vetro, ecc… – che si accoppiano in un doppio differente che si struttura in un insieme inscindibile. Le materie si danno rilievo nello spazio-ambiente manifestandosi con la presenza del corpo fisico di una scultura pienamente consapevole che sembra, in questo modo, sottintendere una fase di riflessione sul principio combinatorio degli elementi-sostanze stesse che la assemblano e la creano. Gianfreda ravvisa sempre una dialettica accesa – scambievole e non prevaricante, in equilibrio e non in tensione – proprio nel doppio, nella coppia: ciascuna materia si incorpora e si innesta in un altro differente, senza dover combattere per l’affermazione di un’identità universalmente valida, ma svela l’integrazione di significazioni diversamente reciproche. Gli elementi, lavorati singolarmente e calibrati con quella precisa attenzione, che nell’esito finale si occulta dietro ad una casualità di pura forma, rincorrono tensioni specifiche ed esclusive delle singole materie che li formano. Ogni frammento, ogni pezzo, vuole caricare la sua partecipazione nell’insieme generale della singola opera, di cui è parte, con quella potenzialità che gli è individualmente propria.
Una delle tematiche maggiormente significanti, che si riscontrano nel suo lavoro, consiste quindi nell’individuazione di una combinazione specifica di forze intense nel profondo e che innervano ciascuna scultura, partendo proprio da quella discontinuità segnica e materica suggerita da elementi differenti che vengono tessuti uno con l’altro. Gianfreda pare potenziare, con questi inserimenti invisibili e sommersi, pur coerentemente urgenti, quella dicotomia segnica già espressa con l’alternante e duale composizione di sostanze apparentemente non combinabili, non ibridabili le une con le altre. Con gli opposti verificati e legati assieme, trattenuti nella sua scultura, permette quel riscontro intuibile che asseconda una visione-comprensione doverosamente più analitica.
Questa lettura interna della struttura di senso dell’opera fa fede proprio sull’implicita accettazione dei costituenti antitetici, resi interagenti attivi e propositivi, nella carica umorale e caratteriale non solo del materiale in quanto tale e delle sue specificità connaturate, ma anche della sua modellazione e forma resa come risposta alla revisione oggettuale dell’artista. La natura in sé della sostanza e la presa visione del riscontro formale apposto dalla mente-mano di Gianfreda danno evidenza fattiva alle forze interne cui si accennava e che hanno ora modo di ritrovare tutta la loro presenza scenica nel divenire del tempo della scultura. Le sue opere dimostrano, infatti, un’esuberanza contenuta e composta che ne accentua il vigore e la presenza: quel raffronto di magnetismi – bilanciati sempre con corretta misura tra attrazioni e respingimenti – anima le forme geometrico-plastiche dei volumi e degli spessori che cercano una tensione cinetica al movimento, al passaggio di stato. Quasi avessero preso coscienza e consapevolezza degli equilibri in fermento al loro interno, le sculture tendono a dilatarsi, a muoversi a spostarsi, a vincere quella tradizionale staticità che si riscontra, generalmente, in questo tipo di lavoro, soprattutto quando si fa ricorso a taluni materiali estremamente connotanti e caratterizzanti come il metallo, la pietra, ecc…
Gianfreda riesce a dissociarsi dalle specifiche attribuzioni di ciascun materiale dimostrando l’empiricità delle sue canoniche e retoriche qualificazioni: i vetri paiono non potersi più frantumare, il marmo sembra morbido e soffice, il metallo cerca una continua piegatura e modellazione, il legno conserva una vitalità germinante, … L’espressione viva delle forze interiori non è oggetto di un riscontro solo visibile all’occhio dell’osservatore, ma è autonomamente già identificato e sentito nell’anima della scultura stessa in tutta la sua autonomia di composizione.
Ogni elemento individua, con la sua presenza, la calibratura e l’equilibratura di funzionalità organicamente inconciliabili, ma che, addizionando le proprie specificazioni caratteriali, riscontrano le premesse per una fattibile ri-modellazione dell’opera già in atto con la deducibilità di quelle energiche forze permesse nelle composizioni e ridate poi come agenti componibili e strutturanti, ora che, svelate, sono rilasciate nel flusso di senso della visione e non sono più vincolate, trattenute ed obbligate, tanto nell’epidermide della materia quanto in pregiudiziali retoriche ad essa associate.
Sottolineando e mantenendo inalterate le individualità di tutte le costituenti, Gianfreda riesce ad accentuare e – nella loro giustapposizione – a trovare quel lato oscuro e invisibile, che resta il segno indelebile della poesia del suo lavoro. Ciascuna scultura, nel dialogo conquistato, ricrea da sé l’energie viva, esito sommatorio di altre potenzialità diversificate fedeli ad un linguaggio apparentemente duro e conciso ma schietto e rigoroso; ogni opera cerca nella composizione degli elementi, una dispersione integrante degli agenti costitutivi e, con un doppio, riunito e tenuto equilibratamente separato, una ri-collocazione spaziale e ambientale diversa. In questa idea di costituzione originante la scultura, Gianfreda si fa lettore prima, e interprete poi, di quelle frequenzialità che nello specifico spettro d’onda fissano la mobilità formale di ogni sua realizzazione.
In un’apparente contraddizione con il principio stesso di stabilità e certezza che la scultura tradizionalmente ha sempre affermato, o quasi voluto suggerire, Gianfreda le offre, con questa energia continuamente rinnovata e rinnovabile, la possibilità di conferire il suo riscontro nella circostanza del suo essere. La ricerca di un’alterazione nella forma, un cambiamento nell’ordine precostituito dall’artista, apre quindi la possibilità peculiare di correlare le sculture strettamente con lo spazio della loro manifestazione.
La loro fluidità energetica pare ora calamitare a sé quegli impulsi e quegli stimoli che si acquisiscono e si sommano nello spazio. Le composizioni del giovane artista, aprendo la questione ambientale del luogo-tempo del loro ricorrere, danno riprova ulteriore della germinazione assidua e rinnovata del loro esserci. Le frequenze cui allude Gianfreda sono in questa corrente vitale che divampa inarrestabile e irrobustisce l’essenza dell’anima del suo lavoro anche riferendosi al contesto, allo spazio, all’ambiente in cui si posizionano i suoi insiemi scultorei. Questa particolare scultura ammette, sempre fedele alla voce della sua tradizionale vocazione, il superamento di una plastica consueta e, per certi versi desueta, per aprirsi ad altre capacità tutte da indagare, così facendo, inevitabilmente, fa ricorso al suo nucleo vitale, quel senso germinante, quasi biologico, ormai dichiarato.
Una pulsazione vibratile si dischiude dal severo corpo delle opere e disloca, in ogni tempo e in ogni dove, il suo presentarsi come fatto in sé precostituito, ma pur sempre nuovo e inaspettato. Delinea e libera uno speciale spettro d’onda di quelle sue specifiche frequenze: una vibrazione dell’azione e della visione, del luogo e del momento, che concede la ri-nascita tanto dell’opera, quanto del suo imminente senso.
La scultura di Alberto Gianfreda – come pure le opere su carta che meriterebbero ulteriori e specifici approfondimenti – non rimane inerte e statica; si intreccia, si pone in equilibrio, vince costrizioni apparenti, esce da morse che mai soffocano e imprigionano, supera la retorica del già visto, per dar riscontro ad un ritmo di frequenze che da semplice fremito diventa un sussulto all’esistenza.
Rintraccia il potenziale occulto di un’energia sconosciuta o, forse, solamente trascurata. Un’energia che divampa nello spirito e infonde vita a qualunque materia.
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